Come avrete capito sono nata in romagna e sono orgogliosa di essere una vera romagnola, qualcuno un giorno ha detto che i romagnoli hanno una marcia in più e secondo mè è vero. Molti disprezzano la nostra spiaggia il nostro mare ma per noi riminesi il mare è una parte della nostra vita fa parte di noi e noi lo amiamo così com'è anche se purtroppo non abbiamo saputo diffenderlo e tutelarlo come si deve. La romagna ha avuto molti figli illustri andati lontano ma sempre con il ricordo della loro terra nel cuore. Chi poteva raccontare meglio questa nostalgia se non il poeta Giovanni Pascoli nella sua poesia ROMAGNA?
GIOVANNI PASCOLI: ROMAGNA (da Myricae)
Sempre un villaggio, sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severino:
il paese ove, andando, ci accompagna
l’azzurra vision di San Marino:
sempre mi torna al cuore il mio paese
cui regnarono Guidi e Malatesta ,
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.
Là nelle stoppie dove singhiozzando
va la tacchina con l’altrui covata,
presso gli stagni lustreggianti , quando
lenta vi guazza l’anatra iridata,
oh! fossi io teco: e perderci nel verde,
e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie,
gettarci l’urlo che lungi si perde
dentro il meridiano ozio dell’aie:
mentre il villano pone dalle spalle gobbe
la ronca e afferra la scodella,
‘1 bue rumina nelle opache stalle
la sua laboriosa lupinella .
Da’ borghi sparsi le campane intanto
si rincorron coi lor gridi argentini:
chiamano al rezzo, alla quiete, al santo
desco fiorito d’occhi di bambini.
Già m’accoglieva in quelle ore bruciate
sotto ombrello di trine una mimosa
che fiorìa la mia casa ai dì d’estate
co’ suoi pennacchi di color rosa
e s’abbracciava per lo sgretolato
muro un folto rosaio a un gelsomino;
guardava il tutto un pioppo alto e slanciato,
chiassoso a giorni come un birichino.
Era il mio nido: dove, immobilmente,
io galoppava con Guidon Selvaggio
e con Astolfo; o mi vedea presente
l’imperatore nell’eremitaggio .
E mentre aereo mi poneva in via
con l’ippogrifo pel sognato alone,
o risonava nella stanza mia
muta il dettare di Napoleone,
udìa tra i fieni allor allor falciati
de’ grilli il verso che perpetuo trema,
udiva dalle rane dei fossati
un lungo interminabile poema .
E lunghi, e interminati, erano quelli
ch’io meditai, mirabili a sognare:
stormir di fronde, cinguettio d’uccelli,
risa di donne, strepito di mare.
Ma da quel nido,rondini tardive,
tutti tutti migrammo un giorno nero;
io, la mia patria or è dove si vive:
gli altri son poco lungi; in cimitero.
Così più non verrò per la calura
tra que’ tuoi polverosi biancospini,
ch’io non ritrovi nella mia verzura
del cucùlo ozioso i piccolini,
Romagna solatìa, dolce paese,
cui regnarono Guidi e Malatesta,
cui tenne pure il Passatør cortese,
re della strada, re della foresta.
GIOVANNI PASCOLI: ROMAGNA (da Myricae)
Sempre un villaggio, sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severino:
il paese ove, andando, ci accompagna
l’azzurra vision di San Marino:
sempre mi torna al cuore il mio paese
cui regnarono Guidi e Malatesta ,
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.
Là nelle stoppie dove singhiozzando
va la tacchina con l’altrui covata,
presso gli stagni lustreggianti , quando
lenta vi guazza l’anatra iridata,
oh! fossi io teco: e perderci nel verde,
e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie,
gettarci l’urlo che lungi si perde
dentro il meridiano ozio dell’aie:
mentre il villano pone dalle spalle gobbe
la ronca e afferra la scodella,
‘1 bue rumina nelle opache stalle
la sua laboriosa lupinella .
Da’ borghi sparsi le campane intanto
si rincorron coi lor gridi argentini:
chiamano al rezzo, alla quiete, al santo
desco fiorito d’occhi di bambini.
Già m’accoglieva in quelle ore bruciate
sotto ombrello di trine una mimosa
che fiorìa la mia casa ai dì d’estate
co’ suoi pennacchi di color rosa
e s’abbracciava per lo sgretolato
muro un folto rosaio a un gelsomino;
guardava il tutto un pioppo alto e slanciato,
chiassoso a giorni come un birichino.
Era il mio nido: dove, immobilmente,
io galoppava con Guidon Selvaggio
e con Astolfo; o mi vedea presente
l’imperatore nell’eremitaggio .
E mentre aereo mi poneva in via
con l’ippogrifo pel sognato alone,
o risonava nella stanza mia
muta il dettare di Napoleone,
udìa tra i fieni allor allor falciati
de’ grilli il verso che perpetuo trema,
udiva dalle rane dei fossati
un lungo interminabile poema .
E lunghi, e interminati, erano quelli
ch’io meditai, mirabili a sognare:
stormir di fronde, cinguettio d’uccelli,
risa di donne, strepito di mare.
Ma da quel nido,rondini tardive,
tutti tutti migrammo un giorno nero;
io, la mia patria or è dove si vive:
gli altri son poco lungi; in cimitero.
Così più non verrò per la calura
tra que’ tuoi polverosi biancospini,
ch’io non ritrovi nella mia verzura
del cucùlo ozioso i piccolini,
Romagna solatìa, dolce paese,
cui regnarono Guidi e Malatesta,
cui tenne pure il Passatør cortese,
re della strada, re della foresta.
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